Portovesme e la necessità di un nuovo film
Capita in questo notiziario di dare spazio alle diverse rassegne cinematografiche, di qualsiasi tipo, che si organizzano in Sardegna. Oggi è già successo due volte con una a Nuoro e una a Cagliari. La notizia di oggi, tuttavia, è quella degli operai di Portovesme sulla ciminiera. Ma possiamo già scrivere che anche qui stiamo parlando di cinema. O peggio, di un film già visto. Quello dei tavoli estenuanti; quello degli accordi al ribasso che nei tavoli trovano linfa; quello della solidarietà a s’istracu baratu elargita da una politica in perenne passerella; quello della cassa integrazione che contrappone i dipendenti “somministrati” ai lavoratori degli appalti; quello dell’isolamento operaio - praticato a livello sindacale - da altre realtà in lotta; quello dell’isolamento da parte di settori della società che vede gli operai garantiti dal sistema e complici delle pessime condizioni di salute del mondo; quello di chi, se la memoria dovesse destare la verve di qualche giudice elettoralista, non tarderà ad accusare gli operai del Sulcis, rei di aver votato Cappellacci (esattamente come si fa con i pastori e il “loro” voto a Salvini). Mai pensato che i lavoratori di tutto hanno bisogno fuorché di questa narrazione? Bene, allora proseguiamo con il lessico cinefilo e proviamo a concepire questo film già visto come la parte proiettata di un cineforum. E poi pensiamo a un’ipotetica discussione dove finalmente rispondere alle classiche domande sul chi produce, quando, cosa, come, dove e perché. Forse potremo arrivare a un’idea di società dove, insieme, lavoratori e comunità non subiscono la regia di pochi.