Documento: ProgReS "Il popolo ha fame e manca il pane"

6 Novembre 2012

Improvvisamente la politica sarda, quella del Palazzo, quella che decide per tutti noi, si accorge che il 7 novembre ci sarà una grande manifestazione di popolo e non sa che pesci prendere. Il primo pensiero va istintivamente alla propria poltrona e a come fare per rimanerci attaccati. La conseguenza sono una serie di dichiarazioni tra il banale e il menzognero, in perfetto politichese italiano.

Così si può leggere una presa di distanza dalla politica di questi anni da parte di chi quella politica l’ha fatta, il Pd, che vanta l’esperienza di Renato Soru in Regione come una discontinuità meritoria, salvo rimuovere la circostanza che furono proprio le manovre del Pd medesimo e dei suoi sodali a depotenziare e edulcorare (fino alla crisi definitiva) le misure più innovative della giunta Soru. Oppure l’Udc, pronta a sostenere la proposta di legge popolare sull’agenzia sarda di riscossione dei tributi e contemporaneamente ostile alla medesima possibilità (perché è lo Stato che deve toglierci di mezzo Equitalia, noi poverini non possiamo decidere nulla), con tanti saluti al principio di non contraddizione (che, come la vecchia scuola Dc insegna, in politica non esiste). Altri, come Sel, si dichiarano solidali con la mobilitazione della Consulta e al contempo distanti, di lotta e di governo insomma, e ricordano a tutti la propria collocazione fuori dai ruoli decisionali (salvo che per sistemare vecchie questioni in odor di clientelismo, tipo lo status dei precari in Consiglio regionale e altre cosucce del genere); senza contare la loro passione per il tricolore e la fedeltà all’Italia una e indivisibile, accompagnate a dichiarazioni para-indipendentiste: per la serie, la coerenza non è il nostro forte. Altri (Pdl, PSdAz) mostrano una notevole puzza sotto il naso sostenuta dalla consapevolezza di avere (per ora) il coltello dalla parte del manico, ma con una prudente dose di accondiscendenza, giusto per evitare di essere additati tra le file dei nemici, alla resa dei conti (una resa dei conti che evidentemente sentono vicina).

Ciò che spaventa il Palazzo è la piega che sta prendendo questa mobilitazione, la sua pretesa di fare un minimo di pulizia dentro le stanze del potere. Questo genere di messaggi, benché magari usati da qualcuno strumentalmente, per scopi diversi, hanno sempre il potere di suscitare aspettative, di creare consenso e di convincere le persone a partecipare. E a quel punto si crea un’inerzia che difficilmente può essere piegata a questo o quell’interesse specifico o anche solo controllata.

Ritenere che sostituire l’attuale classe politica sarda sia un azzardo, perché chi subentrasse sarebbe un novizio senza arte né parte, è una mistificazione totale e un argomento del tutto fuori luogo. Sappiamo bene – e se non lo sappiamo, peggio per noi – che la classe politica sarda è in larghissima parte mediocre e incompetente, selezionata sulla base della fedeltà a questo o quel capobastone, dipendente da centri di interesse particolari (spesso esterni), refrattaria a guardare con occhio onesto e libero le questioni strutturali, gli interessi generali strategici della Sardegna. La maggior parte dei cittadini sardi, messi lì, in consiglio regionale o in un assessorato, non farebbero di certo peggio di quelli che ci sono ora. Certo, quelli che ci sono ora – la giunta Cappellacci, a cominciare dal presidente medesimo – sono probabilmente il peggio che la storia della Sardegna contemporanea abbia mai offerto. Ma non è che si discostino radicalmente dalla visione consueta che la classe di potere sarda ha sempre avuto: la Sardegna come oggetto storico, come strumento di interessi estranei alle necessità generali e ai diritti collettivi dei sardi e i sardi come bacino di consenso clientelare, come popolazione minus habens, bisognosa di tutela, non di libertà.

Il problema, insomma, non è cosa sia e cosa voglia questa Consulta rivoluzionaria. Il problema è che non ci si fermi qui, che questo sia solo il primo passo in direzione di una nuova consapevolezza diffusa, a dispetto degli inevitabili elementi critici presenti al suo interno. L’intento condiviso non è cambiare tutto perché niente cambi. L’intento è chiamare in causa i cittadini perché si assumano la responsabilità di se stessi. Di se stessi come collettività storica, non come esponenti di categorie specifiche o di interessi individuali. Mettere tutti insieme, fare un percorso comune, dicutere e confrontarsi, è la risposta migliore che si possa dare a chi continua a ripetere ossessivamente (come un esorcismo) il luogo comune della disunione dei sardi e – come caso specifico – degli indipendentisti. I partiti indipendentisti sono molti di meno dei partiti italiani e delle loro propaggini proconsolari sarde e, specie tra i loro militanti, nella loro base, sono già oggi molto più coesi e concordi di quanto gradirebbero a Palazzo.

In ogni caso noi di ProgReS sentiamo di dover dare delle risposte ai cittadini e alle varie categorie sociali che si identificano nella Consulta o che ne guardano con interesse il percorso. Non perché là ci sia un consenso da guadagnare, bensì perché ne siamo noi stessi pienamente parte, e non semplicemente degli interlocutori esterni. Lo faremo a modo nostro, ossia in modo nonviolento e propositivo, senza pretendere alcuna leadership né ergerci a depositari della verità. Democraticamente, per la Sardegna e i sardi.

Omar Onnis
Presidente di ProgReS Progetu Repùblica

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