Dai “Bambini della sua vita” a “L’eredità dei corpi”. Intervista a Marco Porru, finalista del Premio Calvino
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(IlMinuto) – Cagliari, 7 maggio – “Un romanzo cupo, ambientato nella periferia di una Cagliari odierna, tra marginalità psichiche e fisiche, non senza un inaspettato finale di raggiunto precario equilibrio”. E’ così che Marco Porru, finalista al Premio Calvino 2011, definisce il suo romanzo, “L’Eredità dei corpi”. Dopo la docu-fiction “Ma la Spagna non era Cattolica?”, lo sceneggiatore cagliaritano si è cimentato anche con la letteratura, e con successo, visto che fra i 350 selezionati è arrivato fra gli otto finalisti.
Sappiamo che non può dirci molto del libro perché ancora non è stato pubblicato, ma da dove ha tratto ispirazione per questa storia?
Premetto che questa definizione è di Mario Marchetti, coordinatore del Calvino, e che mi è piaciuta così tanto che ormai la propino a chiunque mi chieda di cosa parla il romanzo. La mia ispirazione nasce dalle persone che mi circondano, fin da piccolo le osservo molto. Sarei capace di trarre ispirazione per una storia perfino da uno sguardo rubato a qualcuno per caso.
Ci racconti un po’ la storia, dall’invio del romanzo a quando le è stato comunicato che si trovava fra gli otto finalisti.
Ho inviato il romanzo poco prima della scadenza, ad ottobre 2010. Verso fine febbraio 2011 avevo perso le speranze. Poi è arrivata la telefonata di Mario Marchetti che mi ha parlato appassionatamente di pregi e difetti del mio romanzo. Mi aspettava a Torino per la premiazione. Mi sono commosso al telefono.
Com’è stato il passaggio dal cinema alla letteratura? E com’è nata la passione per quest’ultima?
La passione per la letteratura esiste da sempre. Ma è stata la forte esigenza di raccontare questa storia, di analizzarla, che mi ha portato a sedermi davanti al pc per scriverla. Spesso ho avuto altre idee, ma sono rimaste tali, evidentemente non erano così forti. Chi lo sa?
Quando ha inviato il suo libro alla giuria del Premio Calvino che aspettative aveva? Immaginava di arrivare tra i finalisti?
Credevo di aver fatto un lavoro discreto, questo sì. Ma non che sarei stato scelto tra i finalisti. Soprattutto perché, abituato a scrivere sceneggiature che sono finalizzate a un prodotto cinematografico, non sapevo se la storia e il mio stile letterario avrebbero avuto opportunità di entrare nelle grazie di un premio letterario così prestigioso.
In questi giorni è nelle sale la sua opera prima anche come sceneggiatore, il lungometraggio “I Bambini della sua Vita”, con successo di pubblico e critica specialistica, che raramente è tenera.
Onorato che capisaldi della critica nazionale come Porro, Fornasiero, Anselma dell’Olio, Aldo Fittante abbiano dato pareri contrastanti di amore/odio sulla pellicola. Significa che l’opera ha suscitato un interesse particolare rispetto ad altre pellicole che, o non piacciono in generale a nessuno, o mettono tutti d’accordo.
Anche questa storia è ambientata a Cagliari, città scarsamente utilizzata come ambientazione sia nel cinema sia nei romanzi; come mai secondo lei? E cosa l’ha spinta ad ambientare il romanzo nella sua città natale?
Costa troppo portare maestranze e una troupe per girare a Cagliari. Ultimamente però c’è un fermento nella letteratura Sarda. Milena Agus, Michela Murgia, Alessandro De Roma che amo in modo particolare, e Anna melis segnalata al Premio Calvino 2011, per citarne alcuni. Tornando al mio romanzo credo che, pur essendo ambientato in Sardegna, la storia che ho raccontato gli conferisca una valenza universale.
Cos’è, secondo lei, l’eredità dei corpi? Cosa ha voluto dire con questo racconto?
E’ un po’ complesso risponderle. Diciamo che in un periodo particolare della mia vita sono riuscito ad avere una percezione del mio corpo come mai mi era successo prima. Mi sono fatto molte domande e da qui sono nati i personaggi del mio romanzo, che comunicano domande dolorose e scomode più che risposte.
Ora che ha provato entrambe le cose, può dire se preferisce scrivere film o libri?
Non saprei, questo potrebbe essere anche il mio primo e ultimo romanzo. Non scrivo perché devo, anzi non vorrei. E’ un lavoro troppo precario. Ricordo che all’inizio di una lezione di sceneggiatura la grande Suso Cecchi d’Amico disse a noi corsisti: “Ma che ci fate qui? Non avete altro di meglio da fare? Vi suggerisco di cambiare lavoro”.
Progetti nel futuro prossimo?
Mi piacerebbe scrivere un saggio su Bernardo Bertolucci, per me un mito. Fabio Francione con Piero Spila mi hanno anticipato egregiamente. Ho già buttato giù qualcosa. Io mi soffermerò più sulla cura e la poesia che il maestro riserva ai corpi sulla scena. Lui per me in questo è ineguagliabile.
T.S.
Sappiamo che non può dirci molto del libro perché ancora non è stato pubblicato, ma da dove ha tratto ispirazione per questa storia?
Premetto che questa definizione è di Mario Marchetti, coordinatore del Calvino, e che mi è piaciuta così tanto che ormai la propino a chiunque mi chieda di cosa parla il romanzo. La mia ispirazione nasce dalle persone che mi circondano, fin da piccolo le osservo molto. Sarei capace di trarre ispirazione per una storia perfino da uno sguardo rubato a qualcuno per caso.
Ci racconti un po’ la storia, dall’invio del romanzo a quando le è stato comunicato che si trovava fra gli otto finalisti.
Ho inviato il romanzo poco prima della scadenza, ad ottobre 2010. Verso fine febbraio 2011 avevo perso le speranze. Poi è arrivata la telefonata di Mario Marchetti che mi ha parlato appassionatamente di pregi e difetti del mio romanzo. Mi aspettava a Torino per la premiazione. Mi sono commosso al telefono.
Com’è stato il passaggio dal cinema alla letteratura? E com’è nata la passione per quest’ultima?
La passione per la letteratura esiste da sempre. Ma è stata la forte esigenza di raccontare questa storia, di analizzarla, che mi ha portato a sedermi davanti al pc per scriverla. Spesso ho avuto altre idee, ma sono rimaste tali, evidentemente non erano così forti. Chi lo sa?
Quando ha inviato il suo libro alla giuria del Premio Calvino che aspettative aveva? Immaginava di arrivare tra i finalisti?
Credevo di aver fatto un lavoro discreto, questo sì. Ma non che sarei stato scelto tra i finalisti. Soprattutto perché, abituato a scrivere sceneggiature che sono finalizzate a un prodotto cinematografico, non sapevo se la storia e il mio stile letterario avrebbero avuto opportunità di entrare nelle grazie di un premio letterario così prestigioso.
In questi giorni è nelle sale la sua opera prima anche come sceneggiatore, il lungometraggio “I Bambini della sua Vita”, con successo di pubblico e critica specialistica, che raramente è tenera.
Onorato che capisaldi della critica nazionale come Porro, Fornasiero, Anselma dell’Olio, Aldo Fittante abbiano dato pareri contrastanti di amore/odio sulla pellicola. Significa che l’opera ha suscitato un interesse particolare rispetto ad altre pellicole che, o non piacciono in generale a nessuno, o mettono tutti d’accordo.
Anche questa storia è ambientata a Cagliari, città scarsamente utilizzata come ambientazione sia nel cinema sia nei romanzi; come mai secondo lei? E cosa l’ha spinta ad ambientare il romanzo nella sua città natale?
Costa troppo portare maestranze e una troupe per girare a Cagliari. Ultimamente però c’è un fermento nella letteratura Sarda. Milena Agus, Michela Murgia, Alessandro De Roma che amo in modo particolare, e Anna melis segnalata al Premio Calvino 2011, per citarne alcuni. Tornando al mio romanzo credo che, pur essendo ambientato in Sardegna, la storia che ho raccontato gli conferisca una valenza universale.
Cos’è, secondo lei, l’eredità dei corpi? Cosa ha voluto dire con questo racconto?
E’ un po’ complesso risponderle. Diciamo che in un periodo particolare della mia vita sono riuscito ad avere una percezione del mio corpo come mai mi era successo prima. Mi sono fatto molte domande e da qui sono nati i personaggi del mio romanzo, che comunicano domande dolorose e scomode più che risposte.
Ora che ha provato entrambe le cose, può dire se preferisce scrivere film o libri?
Non saprei, questo potrebbe essere anche il mio primo e ultimo romanzo. Non scrivo perché devo, anzi non vorrei. E’ un lavoro troppo precario. Ricordo che all’inizio di una lezione di sceneggiatura la grande Suso Cecchi d’Amico disse a noi corsisti: “Ma che ci fate qui? Non avete altro di meglio da fare? Vi suggerisco di cambiare lavoro”.
Progetti nel futuro prossimo?
Mi piacerebbe scrivere un saggio su Bernardo Bertolucci, per me un mito. Fabio Francione con Piero Spila mi hanno anticipato egregiamente. Ho già buttato giù qualcosa. Io mi soffermerò più sulla cura e la poesia che il maestro riserva ai corpi sulla scena. Lui per me in questo è ineguagliabile.
T.S.
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