La voce dei tanti Bruno. Cronaca di un capodanno sotto il carcere di Viterbo
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(IlMinuto) – Cagliari, 8 gennaio – Sembrano esserci tanti Bruno Bellomonte nel carcere di Viterbo quando, al nostro grido, si accendono una ad una tante piccole luci nel buio delle celle. E’ il modo di comunicare di chi è costretto all’isolamento dal resto della società, un modo che sembra quasi rinchiudere il senso di una vita in galera. Piccole fiamme che, nonostante il buio, si accendono, “che si piegano ma non si spezzano”, come ci urla un detenuto. I tanti Bruno del carcere di Viterbo sono i detenuti sardi che sventolano i quattro mori dalla loro cella, chiedono di dove siamo, di salutargli un amico. Sono le voci del Sud che ci promettono una mangiata “alla faccia di questi qua”. Sono gli stranieri che agitano una mano e ci augurano buon anno. Gli stessi detenuti che ci indicano il lato del carcere in cui è rinchiuso Bruno e che gli porteranno notizia della nostra presenza oltre le mura, nella notte dell’ultimo dell’anno. Poi, la mattina del primo gennaio, qualcosa di rosso sventola dietro le sbarre. E’ il modo per dire, sono qui e vi sento. Un dialogo fatto di lunghi elenchi di amici, compagni e parenti che mandano i loro saluti, di canti, di battute e di presentazioni. Perché sotto il carcere ci sono i compagni di una vita, ma anche chi Bruno non lo ha mai visto e ha imparato a conoscerlo dai racconti dei suoi colleghi di lavoro, per le battaglie sindacali, per l’attivismo politico.
Sotto queste mura siamo un pugno di persone, ma al di là del mare sono tanti i volti che si sono schierati dalla parte di Bruno, tanti quelli che in una città stagnante come Sassari hanno scelto “un terrorista” come proprio sindaco. Allo stesso modo Bruno ha scelto di stare dalla parte dei suoi compagni di cella, dei pastori in lotta, dei lavoratori sul tetto della stazione, dei sardi costretti ad emigrare. E ora più che mai al fianco di chi, come lui, è rinchiuso in un carcere lontano dalla sua famiglia e dalla sua terra, in barba alla territorialità della pena.
Ecco perché questo capodanno, così come tutti i momenti di solidarietà a Bruno, raccontano una vicenda particolare per parlare di una condizione generale, rendono politico ciò che lo Stato vuole ridurre a semplice discorso di ordine e sicurezza.
Eppure qualcosa deve essersi inceppato nella macchina repressiva dello Stato se, nonostante le accuse e la deportazione, in tanti hanno deciso di stare dalla parte di un “indipendentista presoneri”. Così come oggi qualcosa si è inceppato nel meccanismo carcerario: le voci, i canti, il suono dell’armonica, le bandiere che, anche se per poco, hanno rotto l’isolamento per i tanti Bruno rinchiusi in galera.
L.G.
Sotto queste mura siamo un pugno di persone, ma al di là del mare sono tanti i volti che si sono schierati dalla parte di Bruno, tanti quelli che in una città stagnante come Sassari hanno scelto “un terrorista” come proprio sindaco. Allo stesso modo Bruno ha scelto di stare dalla parte dei suoi compagni di cella, dei pastori in lotta, dei lavoratori sul tetto della stazione, dei sardi costretti ad emigrare. E ora più che mai al fianco di chi, come lui, è rinchiuso in un carcere lontano dalla sua famiglia e dalla sua terra, in barba alla territorialità della pena.
Ecco perché questo capodanno, così come tutti i momenti di solidarietà a Bruno, raccontano una vicenda particolare per parlare di una condizione generale, rendono politico ciò che lo Stato vuole ridurre a semplice discorso di ordine e sicurezza.
Eppure qualcosa deve essersi inceppato nella macchina repressiva dello Stato se, nonostante le accuse e la deportazione, in tanti hanno deciso di stare dalla parte di un “indipendentista presoneri”. Così come oggi qualcosa si è inceppato nel meccanismo carcerario: le voci, i canti, il suono dell’armonica, le bandiere che, anche se per poco, hanno rotto l’isolamento per i tanti Bruno rinchiusi in galera.
L.G.
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