“Ma la Spagna non era Cattolica?”. Il cinema controcorrente di Marco Porru. Intervista al giovane sceneggiatore cagliaritano
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(IlMinuto) - Cagliari, 28 agosto - “Storia di un cambiamento che non ci aspettavamo”. E’ il sottotitolo della docu-fiction “Ma la Spagna non era Cattolica?”, scritta da Marco Porru e diretta da Peter Marcias, due ragazzi sardi, due giovani talenti del cinema contemporaneo. Il duo Porru/Marcias, infatti, ha riscosso parecchio successo con questo film, pubblicato nel 2007 ma quanto mai attuale. Tema dell’opera, sulla scia delle riforme del Governo Zapatero, sono le unioni di fatto, i matrimoni tra omosessuali, i Dico, i Pacs e qualsivoglia altra sigla inventata per non chiamarle col loro nome: semplicemente coppie. Nella docu-fiction, un’emittente televisiva spagnola invia un reporter a Roma con il compito di fare delle interviste a proposito delle riforme del Governo di Madrid, per conoscere le opinioni degli italiani, ed in particolare quelle di chi vive “all’ombra del Vaticano", sui cambiamenti messi in atto da Zapatero. Il tutto si intreccia con l’incontro del reporter con la sua vecchia fidanzata, che vive con una donna e una bambina, che si scoprirà poi essere figlia della relazione tra i due. La fine non la raccontiamo, anche perché il primo settembre l’opera verrà proiettata a Villa Muscas, a Cagliari, nell’ambito della rassegna “Nottetempo”. Quali motivi per andare a vedere “Ma la Spagna non era Cattolica?”. L’abbiamo chiesto direttamente allo sceneggiatore, Marco Porru, che dice “Mi viene in mente di dire, purtroppo, che nella sua tragicità è divertente. E' un ritratto dell’Italia di oggi, dove noi viviamo. Vederla ridotta così fa male, ma non voglio ignorarla”.Porru, cagliaritano, studi di lingue e letterature straniere all’Università di Cagliari, è da sempre appassionato di cinema, musica ed arti in genere. Inizia giovanissimo danza e teatro a Cagliari alla scuola di Assunta Pittaluga per poi trasferirsi a Firenze e frequentare fino al diploma il prestigioso “Balletto di Toscana” sotto la guida di Cristina Bozzolini. Numerosi gli stage con rinomati insegnanti in varie città italiane ed all’estero, in Germania con Pina Baush. Si trasferisce a Roma per seguire stage di sceneggiatura e scrittura creativa con prestigiosi insegnanti e cineasti. "Ma la Spagna non era Cattolica?" è la sua opera prima.
A tre anni dall'uscita, "Ma la Spagna non era Cattolica?" è stato pubblicato in dvd e sta girando ancora per rassegne cinematografiche, pare che abbia centrato l'obiettivo...
“Purtroppo temo che l'attualità del tema trattato aiuterà per molto tempo ancora la pellicola. L’obiettivo da centrare è che un giorno il film sia visto come documento storico per capire come eravamo”.
Com'è nata l'idea di questa docu-fiction, e che cos'ha voluto sottolineare con l'aggiunta della parte "romanzata" all'interno del documentario?
“C’era e c’è molta confusione e ignoranza riguardo ai diritti che gli omosessuali chiedono al Governo, generata anche da proposte di leggi incomprensibili che i politici esponevano nei salotti televisivi molto superficialmente: prima i Pacs, poi Dico, poi Cus. Ho voluto raccontare uno squarcio di vita per evidenziare la delicatezza del tema trattato, e il vuoto che gli omosessuali vivono e, loro malgrado, fanno vivere anche ai propri figli a causa di un governo che continua a fingere che non esistano”.
I Festival e i siti gay hanno contribuito in larga misura al successo del film, ma non era rivolto esclusivamente a quella fascia di pubblico, come già evidenziato anche dal regista Peter Marcias, giusto?
“Assolutamente si. Il film non è una celebrazione delle coppie omosessuali. Anzi la fiction racconta la loro confusione, i loro limiti, i problemi. Mira a farle comprendere soprattutto a un pubblico che non le conosce”.
Estremismi a parte, una larga fetta degli intervistati ha detto che il Vaticano esercita un'ingerenza non indifferente sulle scelte dei Governi italiani, di qualunque provenienza politica siano. Pensa anche lei che, in Italia, la "regola" del "Libera Chiesa in libero Stato" valga poco o in misura minore rispetto agli altri Paesi occidentali in cui vige la Democrazia?
“Un sacerdote intervistato non ha voluto rilasciare dichiarazioni sostenendo di vivere non Italia ma in un altro Stato, il Vaticano per l’appunto. Però il Papa, in periodo di elezioni in Italia, non manca di ricordare ai politici quanto altre forme di famiglia non tradizionale siano deviate. Come si può, quindi, non pensare che un ragazzo omofobo sia influenzato anche dalla Chiesa?”.
Nella sua nota, che possiamo trovare nel booklet allegato al dvd, lei spiega che se aveste intervistato delle coppie omosessuali a proposito dei diritti che chiedono al Governo, e li aveste filmati nella loro vita quotidiana, avreste ottenuto l'ennesimo programma tv di denuncia. Le reali intenzioni, invece, erano quelle di approfondire l'argomento, estendendolo al tema sociale delle coppie di fatto, delle famiglie allargate, le cosiddette "famiglie arcobaleno" e così via. E' soddisfatto dei risultati?
“Credo che avremmo ottenuto l’effetto reality, falsando la verità. Invece, come ho scritto sul booklet, il piano sequenza di Marcias e le attrici Caterina Gramaglia ed Elena Arvigo sono stati talmente convincenti che molti spettatori, dopo la proiezione, mi chiedevano dove fosse la parte di finzione nel documentario”.
Quando è uscito il film, in Italia governava Prodi; un anno dopo si è insediato il Governo Berlusconi. Pensa che ci siano state delle differenze di sorta relativamente a questi temi o siamo ancora fermi e molto lontani dalle riforme Zapatero?
“Pur non avendo concretizzato nessuna legge a riguardo, il Governo Prodi ha sollevato il tema. E bisogna prendere atto che in questo Paese dove regna l’omertà non è poco. Da qualche parte bisogna pur partire”.
L'attuale Governo, inoltre, ha tagliato i fondi per il cinema e il teatro. Qual'è, secondo lei, l'entità del danno per i prodotti cinematografici di qualità e per la cultura in generale?
“Un danno incredibile perché a essere penalizzati non sono i film di evasione, ma quelli che raccontano il Paese. E un Paese senza cultura,senza memoria, identità. Muore poco a poco. Per risalire occorrerà attaccarsi solo al nazionalismo e alla fede. Spero non si arrivi mai a questo punto”.
Il fatto di essere nato e cresciuto in Sardegna ha comportato delle difficoltà nel realizzare le sue velleità artistiche? Ha dovuto trasferirsi a Roma, pensa che in Sardegna sia possibile coltivare sogni così ambiziosi come fare cinema o è utopia?
“Io ho lasciato la Sardegna a 23 anni per studiare in una scuola di teatro e danza a Firenze. Quindi non ho sentito la repressione di un’isola con poche scuole di cinema. Il cinema non è la danza. Oltre al lavoro e al talento, richiede anche una certa esperienza di vita. E io a vent'anni non sapevo neppure quello che volevo. Scegliere di fare cinema in Sardegna non credo sia utopia, dipende da come si vuole fare cinema”.
E' in lavorazione "I bambini della sua vita", la sua seconda sceneggiatura, la cui regia è curata anche questa volta da Peter Marcias. Può darci qualche anticipazione?
“E' il mio primo lungometraggio di fiction ed è molto autobiografico. Lo definirei un po’ film di formazione e un po’ melodramma. E sono orgoglioso sia finanziato anche dal Comune e dalla Provincia di Cagliari che, per la prima volta, ha deciso di utilizzare il capoluogo come sfondo per una storia che poteva benissimo essere ambientata in un'altra città. La ritrosia di alcuni registi a mostrare Cagliari, evitando, come dicono loro, le cartoline, non la capisco. Vogliono essere originali, ma seguono un clichè e rischiano di non esserlo. Cagliari è bellissima e bisogna mostrarla. In mezzo a tutte le pellicole ambientate in Sardegna, i bambini della sua vita da questo punto di vista credo sia originale. Sentire poi le mie battute recitate dalla grande Piera Degli Esposti è stato per me un grande onore!”.
T.S.
A tre anni dall'uscita, "Ma la Spagna non era Cattolica?" è stato pubblicato in dvd e sta girando ancora per rassegne cinematografiche, pare che abbia centrato l'obiettivo...
“Purtroppo temo che l'attualità del tema trattato aiuterà per molto tempo ancora la pellicola. L’obiettivo da centrare è che un giorno il film sia visto come documento storico per capire come eravamo”.
Com'è nata l'idea di questa docu-fiction, e che cos'ha voluto sottolineare con l'aggiunta della parte "romanzata" all'interno del documentario?
“C’era e c’è molta confusione e ignoranza riguardo ai diritti che gli omosessuali chiedono al Governo, generata anche da proposte di leggi incomprensibili che i politici esponevano nei salotti televisivi molto superficialmente: prima i Pacs, poi Dico, poi Cus. Ho voluto raccontare uno squarcio di vita per evidenziare la delicatezza del tema trattato, e il vuoto che gli omosessuali vivono e, loro malgrado, fanno vivere anche ai propri figli a causa di un governo che continua a fingere che non esistano”.
I Festival e i siti gay hanno contribuito in larga misura al successo del film, ma non era rivolto esclusivamente a quella fascia di pubblico, come già evidenziato anche dal regista Peter Marcias, giusto?
“Assolutamente si. Il film non è una celebrazione delle coppie omosessuali. Anzi la fiction racconta la loro confusione, i loro limiti, i problemi. Mira a farle comprendere soprattutto a un pubblico che non le conosce”.
Estremismi a parte, una larga fetta degli intervistati ha detto che il Vaticano esercita un'ingerenza non indifferente sulle scelte dei Governi italiani, di qualunque provenienza politica siano. Pensa anche lei che, in Italia, la "regola" del "Libera Chiesa in libero Stato" valga poco o in misura minore rispetto agli altri Paesi occidentali in cui vige la Democrazia?
“Un sacerdote intervistato non ha voluto rilasciare dichiarazioni sostenendo di vivere non Italia ma in un altro Stato, il Vaticano per l’appunto. Però il Papa, in periodo di elezioni in Italia, non manca di ricordare ai politici quanto altre forme di famiglia non tradizionale siano deviate. Come si può, quindi, non pensare che un ragazzo omofobo sia influenzato anche dalla Chiesa?”.
Nella sua nota, che possiamo trovare nel booklet allegato al dvd, lei spiega che se aveste intervistato delle coppie omosessuali a proposito dei diritti che chiedono al Governo, e li aveste filmati nella loro vita quotidiana, avreste ottenuto l'ennesimo programma tv di denuncia. Le reali intenzioni, invece, erano quelle di approfondire l'argomento, estendendolo al tema sociale delle coppie di fatto, delle famiglie allargate, le cosiddette "famiglie arcobaleno" e così via. E' soddisfatto dei risultati?
“Credo che avremmo ottenuto l’effetto reality, falsando la verità. Invece, come ho scritto sul booklet, il piano sequenza di Marcias e le attrici Caterina Gramaglia ed Elena Arvigo sono stati talmente convincenti che molti spettatori, dopo la proiezione, mi chiedevano dove fosse la parte di finzione nel documentario”.
Quando è uscito il film, in Italia governava Prodi; un anno dopo si è insediato il Governo Berlusconi. Pensa che ci siano state delle differenze di sorta relativamente a questi temi o siamo ancora fermi e molto lontani dalle riforme Zapatero?
“Pur non avendo concretizzato nessuna legge a riguardo, il Governo Prodi ha sollevato il tema. E bisogna prendere atto che in questo Paese dove regna l’omertà non è poco. Da qualche parte bisogna pur partire”.
L'attuale Governo, inoltre, ha tagliato i fondi per il cinema e il teatro. Qual'è, secondo lei, l'entità del danno per i prodotti cinematografici di qualità e per la cultura in generale?
“Un danno incredibile perché a essere penalizzati non sono i film di evasione, ma quelli che raccontano il Paese. E un Paese senza cultura,senza memoria, identità. Muore poco a poco. Per risalire occorrerà attaccarsi solo al nazionalismo e alla fede. Spero non si arrivi mai a questo punto”.
Il fatto di essere nato e cresciuto in Sardegna ha comportato delle difficoltà nel realizzare le sue velleità artistiche? Ha dovuto trasferirsi a Roma, pensa che in Sardegna sia possibile coltivare sogni così ambiziosi come fare cinema o è utopia?
“Io ho lasciato la Sardegna a 23 anni per studiare in una scuola di teatro e danza a Firenze. Quindi non ho sentito la repressione di un’isola con poche scuole di cinema. Il cinema non è la danza. Oltre al lavoro e al talento, richiede anche una certa esperienza di vita. E io a vent'anni non sapevo neppure quello che volevo. Scegliere di fare cinema in Sardegna non credo sia utopia, dipende da come si vuole fare cinema”.
E' in lavorazione "I bambini della sua vita", la sua seconda sceneggiatura, la cui regia è curata anche questa volta da Peter Marcias. Può darci qualche anticipazione?
“E' il mio primo lungometraggio di fiction ed è molto autobiografico. Lo definirei un po’ film di formazione e un po’ melodramma. E sono orgoglioso sia finanziato anche dal Comune e dalla Provincia di Cagliari che, per la prima volta, ha deciso di utilizzare il capoluogo come sfondo per una storia che poteva benissimo essere ambientata in un'altra città. La ritrosia di alcuni registi a mostrare Cagliari, evitando, come dicono loro, le cartoline, non la capisco. Vogliono essere originali, ma seguono un clichè e rischiano di non esserlo. Cagliari è bellissima e bisogna mostrarla. In mezzo a tutte le pellicole ambientate in Sardegna, i bambini della sua vita da questo punto di vista credo sia originale. Sentire poi le mie battute recitate dalla grande Piera Degli Esposti è stato per me un grande onore!”.
T.S.
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