UN ANNO FA. Sardinia Gold Mining (1996-2008): i "sogni d’oro" di Furtei trasformati in un incubo per l’ambiente e i lavoratori
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(IlMinuto) – Cagliari, 7 maggio 2010 – “Non vorrei che al termine dell’estrazione dell’oro la Sardinia Gold Mining chiudesse baracca lasciando il paesaggio sconvolto dagli scavi senza un progetto e un finanziamento per il recupero ambientale”. Hanno un che di ‘profetico’ le parole pronunciate dall’allora sindaco di Furtei, Ignazio Congiu, il 18 settembre 1997: giorno dell’inaugurazione ufficiale della miniera d’oro di Santu Miali alla presenza di assessori regionali, del vescovo, di sindaci e sindacalisti (fonte Unione Sarda).
Con la chiusura, senza preavviso, della Sgm del dicembre del 2008, i “sogni d’oro” del Medio Campidano hanno infatti lasciato spazio all’incubo della disoccupazione e del disastro ambientale col concreto rischio – come aveva denunciato la consigliera provinciale del Prc Simona Lobina – “che la fuoriuscita del cianuro, arsenico ed altre sostanze inquini il rio Santu Miali, i bacini e le condotte che portano l’acqua al Campidano e a Cagliari”. Quasi un mese fa la questione sembra avere trovato una soluzione, per quanto provvisoria, con un accordo firmato nella sede della Regione in viale Trento: per sei mesi i 42 ex lavoratori della Sgm parteciperanno a un corso di formazione Igea e saranno impiegati sin da subito per il recupero ambientale e la messa in sicurezza dell’ex “Klondike” sardo.
Paga la Regione. I sardi pagano per i disastri prodotti dalla Sardinia Gold Mining. Nonostante gli impegni sottoscritti prima di avviare l’attività di estrazione e ribaditi più volte nel corso degli anni di attività.
Il 19 aprile 1996 la Sgm – allora al 70 per cento di proprietà australiana – aveva infatti sottoscritto un protocollo d’intesa con i sindaci del territorio e con l’allora presidente della Regione, Federico Palomba. Un documento in cui la Sgm si impegnava al recupero ambientale e all’assunzione di giovani di Furtei, Segariu, Serrenti e Guasila (nel 1997 furono assunte 110 persone).
L’impegno alla salvaguardia dell’ambiente era stato ribadito “solennemente” nel 2002 con la firma di un accordo tra Ugo Cappellacci – non si tratta di un caso di omonimia, l’attuale presidente della Regione presiedeva allora la Sardinia Gold Mining – e il rettore dell’Università di Cagliari, Pasquale Mistretta.
“Il fine ultimo dell’iniziativa – aveva dichiarato Cappellacci all’Unione – è quello di risolvere i principali problemi che nascono al momento della cessazione dell’attività produttiva, per sua natura sempre temporanea”. Già otto anni fa la Sardinia Gold Mining si preparava a lasciare la Sardegna. Il ” fine ultimo” di cui parlava Cappellacci non è stato però raggiunto.
Nel novembre del 2008, la Buffalo Gold – società canadese che nel frattempo aveva acquisito il controllo della Sgm – è stata infatti colpita dal crollo del valore del metallo e della crisi. Tutto ad un tratto estrarre oro in Sardegna non era più conveniente, meglio il Sud America: libri in Tribunale e chi si è visto si è visto. “This is capitalism. Baby”.
Con la chiusura, senza preavviso, della Sgm del dicembre del 2008, i “sogni d’oro” del Medio Campidano hanno infatti lasciato spazio all’incubo della disoccupazione e del disastro ambientale col concreto rischio – come aveva denunciato la consigliera provinciale del Prc Simona Lobina – “che la fuoriuscita del cianuro, arsenico ed altre sostanze inquini il rio Santu Miali, i bacini e le condotte che portano l’acqua al Campidano e a Cagliari”. Quasi un mese fa la questione sembra avere trovato una soluzione, per quanto provvisoria, con un accordo firmato nella sede della Regione in viale Trento: per sei mesi i 42 ex lavoratori della Sgm parteciperanno a un corso di formazione Igea e saranno impiegati sin da subito per il recupero ambientale e la messa in sicurezza dell’ex “Klondike” sardo.
Paga la Regione. I sardi pagano per i disastri prodotti dalla Sardinia Gold Mining. Nonostante gli impegni sottoscritti prima di avviare l’attività di estrazione e ribaditi più volte nel corso degli anni di attività.
Il 19 aprile 1996 la Sgm – allora al 70 per cento di proprietà australiana – aveva infatti sottoscritto un protocollo d’intesa con i sindaci del territorio e con l’allora presidente della Regione, Federico Palomba. Un documento in cui la Sgm si impegnava al recupero ambientale e all’assunzione di giovani di Furtei, Segariu, Serrenti e Guasila (nel 1997 furono assunte 110 persone).
L’impegno alla salvaguardia dell’ambiente era stato ribadito “solennemente” nel 2002 con la firma di un accordo tra Ugo Cappellacci – non si tratta di un caso di omonimia, l’attuale presidente della Regione presiedeva allora la Sardinia Gold Mining – e il rettore dell’Università di Cagliari, Pasquale Mistretta.
“Il fine ultimo dell’iniziativa – aveva dichiarato Cappellacci all’Unione – è quello di risolvere i principali problemi che nascono al momento della cessazione dell’attività produttiva, per sua natura sempre temporanea”. Già otto anni fa la Sardinia Gold Mining si preparava a lasciare la Sardegna. Il ” fine ultimo” di cui parlava Cappellacci non è stato però raggiunto.
Nel novembre del 2008, la Buffalo Gold – società canadese che nel frattempo aveva acquisito il controllo della Sgm – è stata infatti colpita dal crollo del valore del metallo e della crisi. Tutto ad un tratto estrarre oro in Sardegna non era più conveniente, meglio il Sud America: libri in Tribunale e chi si è visto si è visto. “This is capitalism. Baby”.
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